Startup, come dice la parola stessa tradotta direttamente dall’inglese, significa letteralmente “avvio”: con questo termine ci si riferisce quindi all’avvio di un’attività imprenditoriale.
Le Start up innovative sono società di capitali (costituite anche in forma di cooperative) che per essere denominate tali devono possedere una serie di requisiti: in particolare il target include solo le imprese la cui attività è legata all’innovazione e alla tecnologia.
Non si tratta di un nuovo tipo societario ma di una particolare qualificazione attribuita a società di nuova costituzione (o costituite da 48 mesi al massimo) a cui è connesso un regime normativo agevolato sia sotto il profilo fiscale che giuslavoristico.
La disciplina delle start up innovative è stata introdotta nel nostro ordinamento dal D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 (artt. 25 e ss.) recante “Ulteriori misure urgenti per la Crescita del Paese”, convertito dalla L. 17 dicembre 2012 n. 221[1].
L’intervento legislativo deve essere inquadrato come una delle risposte alla crisi economica e alle esigenze di competitività internazionale del Paese[2]: il nuovo istituto ambiziosamente mira a promuovere la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione (in particolare quella giovanile), a favorire una maggiore mobilità sociale e attrarre talenti e capitali dall’estero.
Il legislatore ha cercato di facilitare l’avvio di imprese innovative mediante la riduzione dei tempi e dei costi per la loro costituzione (appunto la fase di start up), garantendo insieme alla riduzione degli oneri il beneficio della responsabilità limitata dei soci. Questa tendenza è propria anche di altri paesi: i modelli di riferimento più importanti a livello extracomunitario sono gli Stati Uniti, dove efficaci politiche di sostegno delle start up innovative hanno dato origine all’odierna Silicon Valley.
In particolare negli Stati Uniti esiste un organismo creato ad hoc (la Small Business Administration) che si occupa di piccole e medie imprese e che attraverso un concorso a premi finanzia i progetti più promettenti e innovativi. Altra soluzione a supporto delle piccole imprese è costituita dalle c.d. Small Business Investment Companies ovvero società private autorizzate dall’amministrazione pubblica a gestire fondi di investimento in piccole imprese[3].
Fra gli interventi più recenti quello promosso dalla Casa Bianca, chiamato “start up America”, un programma di investimenti per start up a forte crescita e in grado di creare innovazione e occupazione, cui ha fatto seguito la nascita di una nuova categoria di imprese, le “società a crescita emergente” sottoposte a un regime normativo di favore per quanto riguarda la quotazione e la possibilità di accedere al capitale di rischio[4].
Ma tra i paesi da sempre più ospitali per gli “Start Upper” innovativi va annoverato Israele[5]: oltre a una serie di incentivi concessi dal Ministero dell’industria prevalentemente ad imprese ad alta tecnologia o impegnate nel settore ricerca e sviluppo, è stata emanata la Law for the Encouragement of industrial R&D che offre sovvenzioni fino al 50% dei costi dei progetti approvati, la riduzione delle aliquote fiscali e altre esenzioni tributarie.
Inoltre è stato avviato nel 1991 il Technological Incubators Program al fine di sostenere progetti tecnologici e innovativi (ma troppo rischiosi per trovare i finanziamenti occorrenti per essere tradotti in realtà operative), accompagnato sin dal 1993 da un forte intervento statale con il programma di co-investimento pubblico “Yozma”[6] che ha effettuato importanti investimenti nell’ambito delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione dando origine allo sviluppo del Venture Capital nel paese.
A livello comunitario invece paese di riferimento è la Francia che a partire dal 2008 ha introdotto misure a sostegno delle imprese innovative basate sulla semplificazione normativa e sull’alleggerimento dell’imposizione fiscale al fine di incentivare lo sviluppo delle c.d. JEI (Jeunes Entreprises Innovantes)[7]. Anche oltralpe è stato previsto un intervento pubblico tramite l’OSEO, una società pubblica che sostiene le imprese concedendo finanziamenti senza interessi o sovvenzioni e che gestisce un fondo interministeriale per il finanziamento di progetti innovativi elaborati nell’ambito dei poli di competitività (c.d. pôles de competitivité), di fatto equivalenti degli incubatori di start up previsti dal D.L. 179/2012.
REQUISITI. La disciplina “incentivante” si applica solo alle imprese in possesso di tutti requisiti previsti dall’art. 25 D.L. 179/2012 relativi:
a) alla forma e alla costituzione:
- la società deve appartenere al genere delle società di capitali o delle cooperative e andrà iscritta in un’apposita sezione del registro delle imprese (in aggiunta all’iscrizione nella sezione ordinaria). Si può trattare anche di una Società Europea e anche in tal caso come nelle ipotesi precedenti dovrà risiedere in Italia[8]. Conseguentemente la società potrà avere sia la forma della società per azioni che della società a responsabilità limitata, anche semplificata o a capitale ridotto[9]. E in quest’ultimo caso alle agevolazioni proprie delle start up innovative si cumuleranno i vantaggi propri di questi nuovi “sottotipi”;
- non può derivare da una fusione o da una scissione societaria né da una cessione di azienda o di ramo d’azienda: tale norma trova la sua ratio nell’intento di evitare abusi perché lo strumento delle start up può essere impiegato per dare origine a nuove imprese ma non deve essere il mezzo attraverso il quale accedere ingiustificatamente alle agevolazioni previste;
- ha la sede principale dei propri affari o interessi in Italia[10];
- se già esistente, non deve essere stata costituita né aver svolto attività d’impresa da più di 48 mesi[11].
Per queste ultime società in possesso dei requisiti previsti dalla normativa ma già costituite alla data di entrata in vigore della L. 221/2012 (19 Dicembre 2012) l’art. 25, comma 3, D.L. 179/2012 prevedeva che entro 60 giorni, ossia entro il 17 Febbraio 2013, avrebbero dovuto iscriversi nell’apposita sezione del registro delle imprese depositando la dichiarazione attestante il possesso dei requisiti di start up innovativa. Decorso tale termine la società non avrebbe potuto godere della disciplina agevolativa.
Interpellato da Infocamere circa l’interpretazione della norma, il Ministero dello Sviluppo Economico ha però chiarito [12] che tale termine ha natura ordinatoria per cui queste società possono depositare la dichiarazione anche se già decorsi i 60 giorni prescritti dal decreto, considerata la volontà del legislatore di estendere le misure per le nuove start up anche alle imprese già attive.
In ogni caso per le società esistenti la normativa si applicherà secondo scaglioni temporali diversi: la disciplina della start up innovativa trova applicazione per un periodo di quattro anni dalla data di entrata in vigore del decreto, se la società è stata costituita entro i due anni precedenti; trova applicazione per un periodo di tre anni, se è stata costituita entro i tre anni precedenti; trova applicazione per un periodo di due anni, se la società è stata costituita entro i quattro anni precedenti (art. 25, comma 3, D.L. 179/2012);
b) alla governance in senso lato:
- la maggioranza delle quote o delle azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria deve essere posseduta per i primi 2 anni dalla sua costituzione da soci persone fisiche;
- la società non può distribuire utili (o se già esistente non deve averli distribuiti): la “compressione” dei diritti del socio, che vedrà preclusa la possibilità di ricevere dividendi, si giustifica perché il legislatore ha voluto andare incontro all’imprenditore offrendo risparmi e flessibilità soltanto in quanto anch’egli dimostri spirito di sacrificio. Gli utili dovranno dunque essere reinvestiti nell’attività sociale al fine di garantire il suo autonomo sviluppo e il consolidamento necessario perché superi la fase di iniziale rodaggio;
- non può essere quotata né nei mercati regolamentati né nei sistemi multilaterali di negoziazione. La norma del tutto pacifica per le S.r.l., le cui partecipazioni non possono essere quotate, all’apparenza sembrerebbe contraddittoria e penalizzante per le S.p.a. in quanto limiterebbe la raccolta di capitale di rischio. La disposizione potrebbe giustificarsi con l’intento del legislatore di cercare di impedire ai soci di sbarazzarsi agevolmente della propria partecipazione inducendoli al contrario a mantenerla per almeno i primi anni di vita della società;
c) alla soglia dimensionale e all’attività svolta:
- non devono superare i 5 milioni di euro in termini di valore della produzione[13]a partire dal secondo anno di attività;
- devono essere innovative:l’oggetto esclusivo o prevalente della società deve essere lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico. In particolarela start up dovrà presentare anche uno tra i requisiti seguenti:
1) le spese in ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 20% delle proprie spese[14] (non si considerano però le spese per l’acquisto o la locazione di immobili);
2) oppure almeno un terzo della forza lavoro (dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo) deve essere costituita da dottori o dottorandi di ricerca o da personale in possesso di laurea e che ha svolto da almeno tre anni attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati (anche all’estero). Ci si è chiesti se il criterio quantitativo indicato riferito genericamente al “personale” comprenda solo i lavoratori dipendenti e collaboratori d’altro genere o anche agli amministratori della società. La soluzione autorevolmente sostenuta propende per un’interpretazione ampia della norma tale da comprendere anche i componenti dell’organo amministrativo.
3) oppure la società deve essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno un brevetto inerente l’oggetto sociale e l’attività di impresa e relativo, per esempio, ad una invenzione industriale o biotecnologica.
Quando poi la start-up innovativa opera esclusivamente nei settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 (assistenza sanitaria, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, valorizzazione del patrimonio culturale, turismo sociale, formazione o erogazione di servizi culturali) assume connotazione diversa e viene definita START UP “A VOCAZIONE SOCIALE”.
Il legislatore non fornisce una definizione esatta di “prodotti o servizi ad alto valore tecnologico”; sarà quindi compito dell’interprete valutare le diverse attività di volta in volta. Più precisamente considerato che, partendo da un’interpretazione letterale, è necessario che il prodotto sia ad alto “valore” (e non “contenuto”) tecnologico, si può arrivare a ritenere che l’attività possa essere finalizzata anche alla realizzazione di beni o servizi tradizionali, purché realizzati con nuove tecniche sofisticate e avanzate[15]. Certamente rientreranno in tale nozione attività come la creazione di dispositivi biomedici innovativi, la creazione di nuovi materiali o di nuove soluzioni nel campo delle biotecnologie, nelle nanotecnologie o nel settore delle ICT (Information and Communication Technology), della bioedilizia e della c.d. “economia verde” (l’oggetto sociale potrebbe essere volto alla produzione e commercializzazione di soluzioni in grado aumentare l’efficienza energetica, di abbattere i consumi di energia e di materie prime, piuttosto che di ridurre l’inquinamento).
Tra le attività che la società potrà sicuramente esercitare potrebbe, per esempio, essere essere annoverato lo studio, la progettazione e la creazione di software piuttosto che la gestione in outsourcing di servizi informatici (cioè mediante il trasferimento di parte delle funzioni di un’organizzazione a un partner esterno) [16] o la realizzazione di spin off accademici (vale a dire iniziative imprenditoriali, alle quali l’Università partecipa in qualità di socio con lo scopo di sfruttare i risultati della ricerca e promuovere nuovi prodotti e servizi derivati dall’attività di ricerca dell’Università).
Si potranno costituire anche le società di ingegneria (di cui all’art. 90, comma 2, lettera b) del D.lgs. 163/06) per eseguire “studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzione dei lavori, valutazioni di congruità tecnico – economica o studi di impatto ambientale”.
AGEVOLAZIONI. Le agevolazioni di cui le “start up innovative” beneficiano (solo se regolarmente iscritte nell’apposita sezione del Registro delle imprese) possono essere di varia natura.
a) Agevolazioni di natura FISCALE:
– le start up non versano i diritti di segreteria e l’imposta di bollo dovuti per l’iscrizione nel registro delle imprese (in sede di costituzione) né, per i 4 anni successivi alla costituzione, il diritto annuale dovuto alla Camera di Commercio (art. 26, comma 8, D.L. 179/2012)[17]. Non viene meno invece il pagamento dell’imposta di registro.
– agevolazioni per chi acquista quote o azioni[18] di tali società, anche per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in start-up innovative, per il triennio 2013-2015 e precisamente:
ai fini Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche) si detrae dall’imposta un importo pari al 19% della somma investita nel capitale sociale di una (o più) star up innovativa. Il limite massimo di investimento detraibile per periodo di imposta non può superare euro 500.000,00 e in ogni caso la partecipazione deve essere mantenuta per almeno 2 anni pena la decadenza dal beneficio e la restituzione di quanto detratto maggiorato degli interessi. L’ammontare in tutto o in parte non detraibile nel periodo di imposta di riferimento può essere portato in detrazione nei periodi di imposta successivi ma non oltre il terzo.
ai fini Ires (imposta sui redditi delle società) nel computo del reddito imponibile si può portare in deduzione il 20% del capitale investito per un importo massimo per periodo di imposta di euro 1.800.000,00 e sempre che l’investimento sia mantenuto per almeno due anni, pena le medesime sanzioni sopra indicate.
Gli incentivi saranno maggiori per l’investimento in start up particolari: la percentuale di detrazione sale al 25% e quella di deduzione al 27% nel caso di investimento in società che operano in via esclusiva nel settore energetico o in start up a vocazione sociale (per quest’ultime si cumuleranno poi le agevolazioni previste dalla disciplina delle “imprese sociali”) ex art. 29 D.L. 179/2012.
– Alle start up innovative non si applica la disciplina tributaria prevista per le società di comodo dall’art. 30 della L. 23 dicembre 1994 n. 724 e dall’art. 2, commi da 36- decise a 36 duodecies, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148): il nostro ordinamento prevede infatti per le “società di comodo”, ossia quelle non operative e quelle che presentano un bilancio costantemente in perdita (società “in perdita sistematica”)[19] l’attribuzione a fini fiscali di un reddito forfettario[20] oltretutto soggetto a imposizione con un’aliquota Ires maggiorata di 10,5 punti percentuali rispetto a quella ordinaria: la società viene cioè tassata anche se è in perdita o se ha conseguito un reddito minore rispetto a quello attribuitole. A queste regole sfuggono in base all’art. 24, comma 4 del decreto le start up innovative che rimangono soggette ad imposizione ordinaria e, cosa più importante, solo per i redditi (eventualmente) conseguiti.
– E’ possibile inoltre per le Start up innovative remunerare dipendenti amministratori e collaboratori continuativi con piani di incentivazione (stock option) basati sull’assegnazione di azioni quote o titoli simili: il relativo reddito non concorrerà alla determinazione della base imponibile (la “defiscalizzazione” è anche contributiva) a condizione che detti strumenti non siano riacquistati dalla start up emittente o da un soggetto che è direttamente controllato da o controlla la società emittente – art. 27 D.L. 179/2012. La norma è diretta ad incentivare l’assunzione di un rischio nell’impresa anche da parte dei dipendenti, degli amministratori e dei collaboratori al fine di un coinvolgimento nell’attività della società allineando così gli obiettivi degli stakeholder con quelli dei soci. Alla base della disposizione non c’è solo l’esigenza di una fidelizzazione dei lavoratori ma anche quella di consentire alla società di reperire sul mercato i collaboratori più validi pur in condizioni di scarsa liquidità (ossia pur nell’impossibilità di offrire retribuzioni competitive).
Analogamente la stessa norma prevede che le azioni, le quote o gli strumenti partecipativi emessi a fronte dell’apporto di opere o servizi anche professionali non concorrono a determinare il reddito complessivo del soggetto che effettua l’apporto.
– E’ previsto poi un contributo per le spese sostenute per assunzioni di personale. Si tratta di uncredito di imposta pari al 35% per imprese che assumano personale altamente qualificatogià previsto dall’art. 24 del D.L. 83/2012 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134, cui è possibile accedere con modalità semplificate. Il credito d’imposta è concesso in via prioritaria rispetto alle altre imprese e la relativa istanza è redatta in forma semplificata senza che sia necessaria la predisposizione della certificazione che attesti le spese sopportate (art. 27 bis D.L. 179/2012);
Le facilitazioni economiche non si esauriscono nelle agevolazioni fiscali esaminate ma comprendono due ulteriori iniziative per garantire maggior probabilità di successo al progetto imprenditoriale (art. 30, commi 6 e 7, D.L. 179/2012):
– la Start up gode di un accesso gratuito al Fondo Centrale di Garanzia (che agevola la concessione di credito per le piccole e medie imprese, fornendo garanzie sui mutui bancari)[21];
– l’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane che si occupa di agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero fornirà alle start up assistenza in materia normativa, societaria, fiscale, contrattualistica e creditizia. Provvederà inoltre a individuare fiere e manifestazioni internazionali in cui ospitare gratuitamente le start up innovative, cercando di agevolare l’incontro con potenziali investitori e dunque aprire alle start up nazionali la via per collocarsi sui mercati stranieri.
b) Deroghe al DIRITTO SOCIETARIO. In generale le start up sia in forma di Società per Azioni che in forma di Società a responsabilità limitata possono godere di diverse deroghe alla disciplina codicistica.
- In materia di perdite superiori al terzo del capitale, è previsto che nelle start up innovative il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, comma 2, e 2482-bis, comma 4, del codice civile, e’ posticipato al secondo esercizio successivo.
Nelle start-up innovative che si trovino nelle ipotesi previste dagli articoli 2447 o 2482 ter del codice civile, l’assemblea in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento a una cifra non inferiore al minimo legale, può deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura dell’esercizio successivo: fino a quel momento dunque non opererà la causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, comma 1, punto n. 4), e 2545 duodecies del codice civile.
Se entro l’esercizio successivo il capitale non risulta reintegrato al di sopra del minimo legale, l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve deliberare ai sensi degli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile (art. 26, comma 1, D.L. 179/2012);
Il differimento della reintegrazione del patrimonio o della ricapitalizzazione rappresenta un’importante “concessione” del legislatore tesa a contemperare due esigenze diverse ossia garantire l’affidamento che i terzi ripongono sul patrimonio della società posto a garanzia dei rispettivi crediti e la possibilità per la società appena costituita di avere tempo sufficiente per minimizzare le perdite legate all’avvio dell’attività.
- è possibile emettere, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci ai sensi degli articoli 2479 e 2479-bis c.c. (art. 26, comma 7, D.L. 179/2012).
Per le Start up aventi forma di S.r.l. inoltre sono previste norme simili a quelle dettate per le società per azioni (art. 26, commi 2 e 3, D.L. 179/2012):
- in deroga all’art. 2468, comma 2 e 3 e all’art. 2479, comma 5, c.c. possono essere create categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, si può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie; si possono altresì creare categorie di quote che non attribuiscano diritti di voto o che attribuiscano al socio diritti di voto ma in misura non proporzionale alla partecipazione o limitati a particolari argomenti piuttosto che subordinati a condizioni non meramente potestative.
Dalla scelta si coglie la volontà di consentire una diversificazione delle modalità di investimento nella start up rendendo quest’ultimo più rispondente alle esigenze dei differenti investitori. Si tratta di un punto non trascurabile e innovativo in materia di S.r.l. la quale a partire dalla legge di riforma del 2003[22] si connota – data la prevalenza dell’elemento personalistico – per una presenza attiva del socio nella vita e nella gestione della società. La creazione di quote cui sono connessi diritti differenziati (per esempio una maggiore remunerazione a fronte dell’assenza del diritto di voto) permette di considerare anche la partecipazione in S.r.l. alla stregua di una forma di mero investimento al pari di quanto già accade nella S.p.a.. Quanto detto non viene messo in discussione dalla circostanza che, per i primi 4 anni la società, non possa distribuire utili perché ai sensi dell’art. 31, comma 4, del decreto anche quando la start up perda i requisiti necessari per considerarsi tale o decorrano i 4 anni dalla costituzione, “le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo ai sensi dei commi 2, 3 e 7 dell’art. 26, mantengono efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte”.
Questo dovrebbe incentivare l’investimento da parte di quanti non siano interessati ad essere coinvolti nella vita e nella gestione societaria puntando invece sulla remunerazione del proprio capitale così da legittimare anche nella S.r.l. la dicotomia tra soci investitori e soci risparmiatori;
- il divieto di operazioni sulle proprie quote non opera quando si tratti di attuare piani di incentivazione che assegnano quote a dipendenti, collaboratori, amministratori o a prestatori di opera e servizi anche professionali (art. 26, comma 6, D.L. 179/2012): in questa sola ipotesi sarà allora possibile per la società disapplicare l’art. 2474 c.c. e acquistare o accettare in garanzia le proprie partecipazioni piuttosto che accordare prestiti o garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione;
- le quote possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari (art. 26, comma 5, D.L. 179/2012): si tratta di un’importante novità considerato il disposto dell’art. 2468 c.c. dettato per le S.r.l. “non innovative” per il quale le partecipazioni dei soci “non possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari”. L’intento del legislatore non può che essere quello di permettere all’impresa neocostituita di raccogliere il capitale necessario per realizzare il progetto imprenditoriale[23] senza dover ricorrere al finanziamento bancario e cercare di dare soluzione al fenomeno della sottocapitalizzazione delle S.r.l. italiane.
In particolare la sollecitazione all’investimento potrà avvenire anche attraverso il c.d. “equity crowdfunding”, strumento riservato alle sole start up innovative (sia in forma di S.r.l. che in forma di S.p.a.) costituito da portali on line per la raccolta di capitali di rischio.
L’istituto che modernizza il nostro ordinamento societario[24] è essenziale per le Start up con forma di S.p.a., quale contrappeso alla preclusione alla quotazione imposta dall’art. 25, comma 1, D.l. 179/2012 e quale rimedio alla difficoltà di emettere prestiti obbligazionari, soggetti ai limiti di cui all’art. 2412, comma 1 c.c. e che richiedono, per avere successo, una fiducia del mercato di cui l’impresa appena costituita ancora non dispone[25]. Anche per quelle con forma di S.r.l. è in ogni caso rilevante considerato che le società in esame potrebbero presentare qualche difficoltà nell’accesso al sistema bancario perché nelle prime fasi di sviluppo la redditività dell’impresa tendenzialmente è piuttosto bassa e perché in questo caso le risorse e i capitali a disposizione (know how, marchi o brevetti) difficilmente verrebbero accettati a garanzia del finanziamento.
Inoltre l’istituto permette di porre soluzione alle criticità proprie del sistema economico nazionale quale la ridotta diffusione sia del private equity “da sempre considerato rilevante nella nascita di nuove imprese e nella crescita di quelle esistenti, specialmente se operanti in settori legati a nuove tecnologie (ICT, biotecnologie, etc.) in cui è particolarmente forte la presenza di asimmetrie informative[26] sia di figure equiparabili agli “Investitori informali”[27]diffusi nell’esperienza statunitense. Visto l’ampio bacino di possibili investitori raggiungibili grazie alla rete l’istituto in parola consente che il progetto imprenditoriale ottenga finanziamenti da quanti siano disposti a credere in quell’idea[28] e a investirvi somme anche modeste.
c) Deroghe GIUSLAVORISTICHE: per facilitare l’instaurazione di rapporti di lavoro si è introdotta una disciplina più flessibile prevedendo che:
- le start up possono concludere contratti di lavoro a tempo determinato senza dover indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (previste dall’art. 1, comma 1, del d. lgs. 368/2001) quando il contratto è stipulato per lo svolgimento di attività relative all’oggetto sociale della società;
- i contratti a tempo determinato stipulati dalla società possono avere una durata maggiore (6 mesi) rispetto a quella prevista dalla disciplina generale, fino a un massimo di 36 mesi;
- entro i 36 mesi è possibile effettuare anche più rinnovi ossia stipulare più contratti a tempo determinato senza il necessario decorso degli intervalli minimi previsti altrimenti dalla legge;
- scaduti i 36 mesi è possibile (se la stipulazione avviene presso la Direzione Provinciale del Lavoro) un ulteriore rinnovo per altri 12 mesi decorsi i quali il rapporto potrà proseguire solo con assunzione a tempo indeterminato;
- la retribuzione dei lavoratori sarà costituita da una parte fissa non inferiore alla retribuzione minima del contratto collettivo applicabile e da una parte variabile in base a parametri di rendimento concordati tra le parti come ad esempio la redditività dell’impresa o la produttività. (art. 28 D.L. 179/2012)
INCUBATORI DI STAR UP. Poiché i capitali non bastano, la nascita di nuove start up è resa più agevole anche grazie alla creazione di un contesto “start up friendly” fatto di servizi e spazi dedicati.
Il legislatore al riguardo ha introdotto la figura dell’ “incubatore certificato”, una società (sempre di capitali o in forma di cooperativa o di Società Europea residente in Italia) che ha quale oggetto sociale l’offerta di servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo delle start up innovative: ciò consente all’impresa appena costituita e dotata di un capitale modesto di poter disporre di strutture e apparati tecnici complessi e costosi necessari per operare che altrimenti non potrebbe permettersi.
Anche l’incubatore deve possedere precisi requisiti (art. 25, comma 5, D.l. 179/2012) e precisamente:
– deve disporre di strutture (anche immobiliari) e attrezzature adeguate per ospitare le start up innovative e la loro attività (laboratori, attrezzature e macchinari per i test, le prove, le ricerche, i collaudi e via dicendo ma anche sistemi di accesso a banda larga e internet);
– deve essere amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e avere a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;
– intrattenere rapporti regolari con università e centri di ricerca nonché con istituzioni pubbliche e partner finanziari la cui attività è connessa alle start up innovative e ai loro progetti;
– deve avere adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start up innovative. Tale requisitodipende dal possesso si una serie di requisiti indicati nelle lettere da a) a f) del comma 7 dell’art. 25 D.L. 179/2012[29].
All’incubatore si applicano alcune delle norme dettate per le start up innovative:
– deve essere iscritto in una sezione speciale del registro delle imprese (art. 25, comma 8, D.L. 179/2012);
– è esonerato dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti per l’iscrizione oltre che dal pagamento del diritto annuale dovuto alla Camera di Commercio (sempre per massimo 4 anni dall’iscrizione nel registro delle imprese) ma non dall’imposta di registro. (art 26, comma 8, D.L. 179/2012);
– gode dell’accesso agevolato al credito di imposta previsto dall’art. 27 bis D.L. 179/2012 e al Fondo centrale di garanzia;
– lo statuto può prevedere a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche d’opera o servizi, l’emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi escluso il diritto di voto nelle decisioni dei soci ed è possibile remunerare dipendenti amministratori e collaboratori con piani di stock option sottoposti a defiscalizzazione. (art. 26, comma 7 e art. 27 D.L. 179/2012).
PERDITA DELLA QUALIFICA DI START UP. Lo status di start up innovativa ha natura temporanea e viene riconosciuto dopo il deposito presso il registro delle imprese di una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dall’articolo 25 del decreto legge 179/2012 (art. 25, comma 9, D.L. 179/2012).
Tale adempimento deve essere ripetuto ogni anno entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio e comunque entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, per attestare il mantenimento dei requisiti. Infatti la perdita di anche uno solo di essi comporta la decadenza dalla condizione di start-up innovativa e dal godimento dei benefici.
Spetta dunque agli amministratori verificare periodicamente la sussistenza dei requisiti e attestarne l’esistenza, depositando al registro delle imprese la relativa dichiarazione.
Il rispetto dei requisiti fissati dall’articolo 25 del D.L. 179/2012 rientra nel controllo di legittimità e impone quindi al collegio sindacale o al sindaco unico, se esistenti, il dovere di vigilanza sull’operato degli amministratori.
Sotto questo profilo, si deve ritenere che il rappresentante legale della società debba sottoporre all’organo di controllo la dichiarazione che attesta il possesso o il mantenimento dei requisiti indicati dall’articolo 25 prima di depositarla presso il registro imprese.
I sindaci, verificata la sussistenza dei requisiti, devono controllare che l’organo amministrativo provveda al successivo deposito della dichiarazione. Infatti senza questo adempimento, la società potrebbe perdere la qualifica di start-up innovativa pur possedendo di fatto i necessari requisiti (l’art. 25, comma 16, dispone che il mancato deposito della dichiarazione circa il mantenimento dei requisiti è equiparato alla perdita degli stessi e comporta la cancellazione d’ufficio della società dalla speciale sezione del registro imprese).
Diverse possono essere le conseguenze se viene dichiarato il possesso di requisiti di legge in realtà inesistenti.
L’articolo 25, comma 9, non prevede alcuna verifica preventiva da parte del registro delle imprese, ma si limita a stabilire che il possesso dei requisiti è attestato con “autocertificazione prodotta dal legale rappresentante e depositata presso l’ufficio del registro delle imprese”.
Il deposito di dichiarazioni false potrebbe far insorgere responsabilità in capo ad amministratori e sindaci (per esempio, a causa delle conseguenze derivanti dall’illegittimo sfruttamento delle deroghe in materia di contratti di lavoro dipendente o delle norme poste a tutela del capitale sociale).
L’articolo 31, comma 4, del decreto disciplina infine la sorte delle clausole statutarie a seguito della perdita della qualifica di start up e prevede che cessi “l’applicazione della disciplina prevista nella presente sezione (…) ferma restando l’efficacia dei contratti a tempo determinato stipulati dalla start-up innovativa sino alla scadenza del relativo termine.”
Per la start-up innovativa costituita in forma di società a responsabilità limitata, si ritiene che le clausole eventualmente inserite nell’atto costitutivo per effetto delle deroghe al diritto societario (ai sensi dei commi 2, 3 e 7 dell’articolo 26) mantengano efficacia limitatamente alle quote di partecipazione già sottoscritte e agli strumenti finanziari partecipativi già emessi.
INSUCCESSO E CRISI DELL’IMPRESA. Da ultimo, la start up è stata dal legislatore agevolata anche nell’ipotesi in cui non dovesse avere successo.
La start up innovativa se in crisi prima che siano decorsi 4 anni dalla sua costituzione, poiché considerata non fallibile (per espressa disposizione di legge non è soggetta alle procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012 n. 3) può accedere alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, fronteggiando così la propria incapacità di soddisfare i debiti contratti secondo modalità più flessibili rispetto alle tradizionali procedure concorsuali (art. 31 D.L. 179/2012).
Al pari degli imprenditori sottosoglia o degli imprenditori agricoli, la società potrà in particolare ricorre alla procedura dell’accordo del debitore ex art. 6 L. 3/2012 come modificata dal D.L. 179/2012 predisponendo con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti. Ciò consentirà all’impresa di non perdere la propria capacità negoziale durante la procedura ed eventualmente di proseguire l’attività imprenditoriale. In alternativa, si potrà comunque accedere al procedimento di liquidazione del patrimonio da impiegare per la soddisfazione delle pretese dei creditori.
[1] Il provvedimento è stato preceduto dal rapporto “Restart Italia” promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico al fine di raccogliere ed elaborare proposte volte a incoraggiare la nascita e lo sviluppo di startup. Il Rapporto è stato presentato il 9 luglio 2012 al Ministro Passera ed è stato divulgato pubblicamente il 13 settembre 2012.
[2] AA. VV., Studio I-COM, Presenza ed impatto economico delle start up innovative di successo: un confronto internazionale, Gennaio 2013, “Mettere in campo iniziative per favorire la creazione di start up innovative nasce proprio dalla consapevolezza che i processi di modernizzazione imposti dal confronto sul mercato globale richiedono un sistema imprenditoriale che incorpori competenze tecnologiche e attitudini ad elaborare e sviluppare innovazione”.
[3] Sono considerate tali quelle con un patrimonio netto non superiore ai 18 milioni di dollari e con un utile netto non superiore a 6 milioni di dollari.
[4] A queste nuove imprese disciplinate dal JOBS act (ossia Jumpstart Our Business Startups Act, legge per favorire e regolare il crowdfunding e per aiutare le startup a finanziarsi in modi alternativi) è riconosciuta la possibilità di quotarsi senza obbligo di adeguamento ai criteri del Sarbanes – Oxley Act (legge statunitense volta a ristabilire la fiducia dei mercati attraverso il rafforzamento dei sistemi di controllo in azienda) per 5 anni, a meno che non superino un miliardo di dollari di fatturato. Inoltre è stata introdotta la possibilità di raccogliere capitale di rischio da un numero illimitato di investitori anche non professionali mediante lo strumento del Crowdfunding che ha poi successivamente ispirato il legislatore italiano.
[5] In Israele sono presenti ben 4.000 start up tecnologiche e circa 70 fondi di venture capital attivi (di cui 14 venture capitalist internazionali). Cfr. AA. VV., Studio I-COM, Presenza ed impatto economico delle start up innovative di successo: un confronto internazionale, Gennaio 2013, pag. 22
[6] Già negli anni ’90 era chiaro che l’industria tecnologica in Israele, nonostante le importanti risorse umane emigrate dall’Unione sovietica, non avrebbe mai attecchito senza un sostanzioso investimento da parte del Venture capital (all’epoca del tutto assente nel paese eccetto per un fondo). Yozma (“iniziativa” in ebraico) rappresentava una soluzione al problema e nasceva come programma governativo finalizzato a promuovere iniziative tecnologiche promettenti in Israele, incoraggiando l’investimento da parte dei capitali stranieri nell’industria nazionale. Ciò avveniva sia investendo in fondi di venture capital (dunque operando come fondo di fondi e riducendo il rischio dell’investimento) sia finanziando direttamente alcune delle imprese neocostituite. Il successo di Yozma è stato enorme portando Israele ad essere il paese con il più alto numero di società quotate al Nasdaq e di brevetti pro – capite nel settore medicale. Nel 1997 Yozma è stato privatizzato divenendo un fondo di investimenti privato a tutti gli effetti che investe senza nessun altro incentivo pubblico. Cfr. http://erawatch.jrc.ec.europa.eu/erawatch/opencms/.
[7] Relativamente alla semplificazione normativa, si ricordi che l’ordinamento transalpino ha già eliminato il capitale sociale minimo per le SARL (l’equivalente delle nostrane S.r.l.) ben prima che il legislatore italiano introducesse la possibilità di costituire S.r.l. con un capitale di un euro e accanto alla Société Anonyme disciplina la c.d. Societé par Actions Simplifiée (SAS) che gode di ampia libertà statutaria. Relativamente invece al profilo fiscale, gli interventi sono stati indirizzati a favorire gli investimenti mediante una serie di incentivi a favore degli investitori e molteplici agevolazioni fiscali per le JEI (esenzione dall’imposta societaria per 3 anni e riduzione al 50% nei successivi due, oltre all’esenzione per 7 anni dall’imposta sugli immobili ma solo per le start up innovative create prima del 31 dicembre 2013).
[8] Così impone l’art. 25, comma 2, D.l. 179/2012 che rinvia all’art. 73 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 il cui comma 3 stabilisce “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
[9] A. RUOTOLO e D. BOGGIALI, START UP INNOVATIVE E INCUBATORI DI START UP INNOVATIVE, in CNN Notizie, 23/10/2012 in particolare dopo aver ammesso il ricorso alla S.r.l. semplificata, ossia con atto costitutivo standard, ritengono che “per la start up innovativa costituita ai sensi dell’art. 2463 bis c.c., troveranno applicazione solo alcune delle deroghe al diritto societario previste dall’art. 26 [N.d.A. del D.l. 179/2012] (segnatamente, non si applicheranno i citati commi 2, 3, 4 e 7, che presuppongono un’espressa previsione statutaria, non consentita dal modello standard)”.
[10] Secondo Assonime Circolare, “L’impresa start up innovativa”, in data 6 maggio 2013 n. 11, l’espressione “sede principale” non si riferirebbe alla sede legale indicata nell’atto costitutivo bensì a quella di concreta realizzazione degli affari e interessi ossia di svolgimento effettivo dell’attività innovativa. In altri termini è la sede effettiva degli affari ed interessi a dover essere individuata in Italia ed è qui che dovranno essere svolte le principali funzioni strategiche e gestionali e amministrative della start up.
[11] La ragione di questa scelta si rinviene nel rapporto Restar Italia, pag. 27 “Pensiamo che 48 mesi siano un periodo giusto per la fase di avviamento di una nuova impresa innovativa. Un periodo non eccessivamente breve, che rischierebbe di strozzare la startup nella sua fase di crescita ed espansione. E nemmeno eccessivamente lungo, tale da invogliare la startup a cullarsi sugli allori”.
[12] Comunicato stampa Ministero dello Sviluppo economico, 12 Febbraio 2013 “Start up innovative. Per le società già costituite possibile l’iscrizione alla “sezione speciale” anche dopo il 17 febbraio 2013”, reperibile www.sviluppoeconomico.gov.it
[13] Il valore della produzione risulta dalla somma del fatturato e dell’incremento del valore del magazzino prodotti finiti.
[14] In maniera non dissimile la legislazione francese prevede che per considerarsi una Jeune Entreprise Innovante le spese di ricerca e sviluppo della società debbano rappresentare almeno il 15% dei costi. Il D.L. 179/2012 prima della conversione prevedeva la stessa percentuale del 30%.
[15] Cfr. Circolare Assonime, “L’impresa start up innovativa”, in data 6 maggio 2013 n. 11, ove viene confermato che non esistono limiti a priori per definire i campi di attività, potendo una start up innovativa operare anche in settori “tecnologicamente maturi”. Verrà così presa in considerazione ogni tipo di attività economica da cui possano derivare nuovi prodotti/servizi, oltre che nuovi metodi per produrli, usarli e distribuirli.
[16] Delle 307 start up iscritte all’11 marzo nel registro delle imprese la maggior parte operava nel settore manifatturiero e in quello dei servizi di comunicazione e informazione quali software e consulenza informatica). Alla data dell’8 aprile risultavano iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese 544 start up innovative. Anche dalla seconda lettura dei dati del registro delle imprese effettuata da Infocamere è emersa una concentrazione dell’attività nel settore della produzione di software e della consulenza informatica (29% del totale) seguito dal settore Ricerca e sviluppo (21%).
[17] Cfr. A. RUOTOLO e D. BOGGIALI, START UP INNOVATIVE E INCUBATORI DI START UP INNOVATIVE, in CNN Notizie, 23/10/2012 “Si può peraltro notare un notevole parallelismo con il regime di esenzione dall’imposta di bollo e dal pagamento dei diritti di segreteria previsti dall’art. 3 del D.L. 1/2012, cui si aggiunge anche l’esenzione dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio”.
[18] La norma parla genericamente di “somma investita dal contribuente”. Secondo la Circolare Assonime, “L’impresa start up innovativa”, in data 6 maggio 2013 n. 11, sarebbero però detraibili o deducibili non solo gli aumenti di capitale in denaro ma anche i versamenti a fondo perduto, quelli in conto di futuro aumento di capitale e le rinunce dei finanziamenti soci.
[19] La norma si riferisce alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi.
[20] Come chiarito dalla circolare 3/E del 4 marzo 2013 la base imponibile a cui applicare la maggiorazione Ires “può essere costituita, a seconda dei casi, dal reddito minimo presunto determinato in base all’articolo 30, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ovvero dal reddito “ordinariamente” determinato (qualora quest’ultimo risulti superiore al reddito minimo presunto).
[21] Il Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese è stato istituito con L. 622/96 e reso operativo nel 2000, con il fine di permettere un più facile accesso al credito alle realtà imprenditoriali più piccole. Il fondo fornisce una garanzia pubblica fino al 60% ma in certi casi fino all’80% del finanziamento richiesto e fino a un massimo di 1,5 milioni di euro. In tal modo permette alla singola impresa di ottenere i finanziamenti sperati senza dover ricorre ad ulteriori garanzie risparmiando dunque i costi di una evenutale fideiussione o di una polizza assicurativa.
Questa facilitazione si affianca ad un altro strumento istituito nel 2009 con D.M. Ministero dello Sviluppo Economico, il Fondo Nazionale per l’innovazione che mette a disposizione delle piccole e medie imprese una garanzia (si tratta di 75 milioni di euro che derivano dal pagamento delle tasse per il mantenimento in vita dei brevetti) che agevola la concessione di finanziamenti da parte di banche selezionate con procedura di evidenza pubblica. Le imprese che ne possono beneficiare sono proprio quelle che commercializzano prodotti innovativi realizzati sulla base di brevetti o disegni e modelli. Ai finanziamenti bancari è possibile accedere anche tramite contratti di rete se finalizzati alla valorizzazione economica di brevetti o disegni e modelli: in altre parole anche una impresa priva di un brevetto o di un disegno se partecipante ad un contratto di rete dedicato alla valorizzazione economica di un brevetto o di un disegno può accedere ai suddetti benefici.
[22] “La società per azioni nel vecchio sistema, era il prototipo della società per capitali. La società a responsabilità limitata era concepita fondamentalmente a immagine e somiglianza della società per azioni: si parlava di una piccola Spa”. Cfr. P. MARCHETTI, Alcuni lineamenti generali della riforma, in Notarlex, pag. 1.
[23] In questo senso la relazione illustrativa al decreto 179/2012 sottolinea come il divieto di far ricorso al pubblico risparmio costituirebbe un forte limite allo sviluppo di start up che non dispongono nella loro fase iniziale di una dotazione di capitale sufficiente per costituirsi in forma di S.p.a. o che intendono crescere senza doversi necessariamente trasformare in S.p.a.
[24] L’Italia sarà a livello europeo il primo paese a licenziare una normativa dedicata al crowdfunding. Lo strumento è già conosciuto negli Stati Uniti ma la legislazione italiana appare già all’avanguardia cfr. D. DRAKE, Italy leads the U.S. In equity Crowdfunding, in www.forbes.com, 04/01/2013 “It seems that Italy will surpass the JOBS Act in the implementation of the first equity crowdfunding law in the world”.
[25] Poiché il rischio di insolvenza è piuttosto elevato sarà inoltre richiesto un tasso di interesse maggiore che compensi il maggiore rischio.
[26] Cfr. AA. VV., Il private equity in Italia, Questioni di Economia, Occasional paper, n. 41, febbraio 2009, pag. 5 ss.. Sempre ivi, “il private equity include due tipologie di investimento nel capitale di rischio delle imprese [la prima delle quali] (operazioni di venture capital) si rivolge a imprese giovani e con elevate prospettive di crescita che difficilmente sarebbero in grado di reperire capitale di rischio con mezzi tradizionali. Per queste imprese è spesso anche difficile indebitarsi con le banche, dal momento che nelle prime fasi dello sviluppo si caratterizzano per una bassa redditività e una scarsa dotazione di capitale fisso da utilizzare come garanzia a fronte dei prestiti. (…) Il private equity investe nell’impresa acquisendo una partecipazione nel capitale; le successive erogazioni di fondi sono generalmente subordinate al raggiungimento di obiettivi prefissati”.
[27] Si tratta di privati, generalmente dotati di esperienza nel campo della gestione aziendale perché ex imprenditori, ex manager o professionisti, che investono occasionalmente nel capitale di rischio di nuove imprese – anche allo stato embrionale e di sviluppo – che presentino un progetto imprenditoriale promettente e con forte potenziale di crescita. Nel mondo anglosassone sono noti anche come “Business Angel” in quanto mettono a disposizione capacità e competenze per massimizzare la probabilità di successo conservando la propria partecipazione per cederla solo dopo un periodo medio/ lungo al fine di realizzare il proprio investimento. In questo caso il beneficio per la società è duplice perché accanto a capitale di rischio l’impresa acquisisce un socio interessato all’andamento della gestione in grado di apportare competenze ed esperienze altamente qualificate.
[28] Si consideri infatti che i fondi di Venture Capital difficilmente investono in progetti di medio piccole dimensioni e a bassa redditività perché la remunerazione dell’investimento potrebbe non valere il costo di un’adeguata due diligence. Cfr. sul punto anche E. GUALANDRI V. VENTURELLI, Nasce l’impresa Start-up: dal progetto al mercato, pag. 28 “il Venture capital presenta aspetti che non lo rendono adatto a finanziare tutti i progetti; si fa riferimento agli investimenti che si trovano nella fase embrionale di avvio, seed, o caratterizzati da una dimensione economica ritenuta dai finanziatori non sufficiente per recuperare i costi contrattuali e di valutazione” e ID., ivi, pag. 43 “uno studio di AIFI e IBAN ha evidenziato come sussista un rilevante disincentivo all’operatività di questi soggetti nella realtà imprenditoriale italiana: vista la dimensione ridotta di molte attività il taglio medio degli investimenti richiesti in fase iniziale è inferiore alla soglia minima in grado di garantire un rendimento sufficiente per l’investitore soprattutto considerando gli elevati costi informativi da sostenere, i molteplici rischi non controllabili, le asimmetrie informative e le ridotte possibilità di disinvestimento assicurate dal mercato dei capitali nazionale”.
[29] In particolare va fatto riferimento a criteri diversi da cui emerge la serietà dell’incubatore e la reale capacità di accompagnare le nuove imprese verso il successo: si pensi al numero di start up innovative avviate e ospitate nell’anno; al numero di quelle uscite; al numero di collaboratori e personale ospitato; alla percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati rispetto all’anno precedente; al tasso di crescita media del valore della produzione delle start up innovative incubate; ai capitali di rischio ovvero finanziamenti raccolti a favore delle start up innovative incubate e messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni; al numero di brevetti registrati dalle start up innovative incubate.
Tratto da Federnotizie, maggio 2013. Autore: Alessandra Mascellaro.