Cosa cambia. Novità di interesse notarile e clausole.
La legge
Il 18 giugno scorso è entrata in vigore la “Riforma del condominio negli edifici” dettata dalla L. 11 dicembre 2012 n. 220, pubblicata in G.U. n. 293 del 17 dicembre 2012, con cui il legislatore ha parzialmente modificato la disciplina contenuta negli art. 1117 e ss. del codice civile.
Gli enti comuni
Tra le innovazioni rilevanti si segnala innanzitutto una più compiuta definizione degli enti comuni, volta a “modernizzare” la previgente elencazione dell’art. 1117 c.c. (che ancora oggi deve ritenersi non tassativa).
Così devono presumersi di proprietà comune, fino a che il contrario non risulti dal titolo, i seguenti enti:
- le aree destinate a parcheggio;
- i sistemi centralizzati per la distribuzione del gas, dell’energia elettrica, per il riscaldamento e il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo;
- i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune.
Si propone la seguente clausola:“Il fabbricato sopradescritto è soggetto alle disposizioni di legge sul condominio negli edifici (artt. 1117 e seguenti del Codice Civile, come modificati dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220); alle unità immobiliari in contratto competono pertanto le proporzionali quote di comproprietà (espresse in millesimi) degli enti, parti e spazi comuni del fabbricato, quali l’area coperta e scoperta di pertinenza, il tetto, il sottotetto destinato (per le caratteristiche strutturali e funzionali) all’uso comune, la scala di collegamento ai piani, le aree destinate a parcheggio, le facciate, le linee di alimentazione (interrate e non) per la fornitura di energia elettrica, acqua, gas-metano e telefono fino alla derivazione delle singole utenze, le canne fumarie, le colonne verticali ed orizzontali per lo smaltimento delle acque nere e meteoriche.”
La legge di riforma – annoverando i sottotetti tra gli enti che si presumono comuni – interviene su di un tema da sempre dibattuto[1].
Il legislatore si è limitato a recepire l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Suprema Corte (da ultimo, v. le pronunce n. 26833 del 14 dicembre 2011 e n. 17249 del 12 agosto 2011).
In ossequio al citato orientamento giurisprudenziale, al fine di accertare la proprietà del sottotetto, è necessario distinguere due ipotesi:
- se il sottotetto assolve ad una funzione servente solo rispetto al piano più elevato del fabbricato à si presume di pertinenza dell’appartamento o degli appartamenti collocati all’ultimo piano;
- se per la sua struttura e funzione risulta oggettivamente destinato in concreto – anche solo potenzialmente – all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune à dovrà considerarsi ente comune dell’edificio.
Al fine di stabilire in quale delle due situazioni indicate (ente comune o proprietà esclusiva del sottotetto) si versi, è necessario infatti valutare quale fonte primaria il titolo di acquisto[2] o il regolamento condominiale. In altre parole, se da questi atti emerge che il sottotetto è condominiale ex art. 1117 c.c., non potrà riconoscersi alcuna proprietà esclusiva in capo al condomino – proprietario dell’appartamento all’ultimo piano e viceversa. Solo ove tali atti non disponessero nulla al riguardo si potrà ricorrere al criterio della oggettiva destinazione del bene desunta dalle dimensioni o dalla funzione svolta dal sottotetto, piuttosto che dalla presenza di scale comuni o botole che consentano l’accesso. Da qui l’attenzione che il notaio deve prestare nel redigere l’atto notarile poiché inserendovi apposita clausola che definisca a chi spetti la proprietà del sottotetto è possibile ridurre “a monte” l’infinito contenzioso in materia.
Da qui l’attenzione che il notaio deve prestare nel redigere l’atto notarile poiché inserendovi apposita clausola che definisca a chi spetti la proprietà del sottotetto è possibile ridurre “a monte” l’infinito contenzioso in materia.
Altra novità interessante è il riferimento nell’art. 1117 c.c. alle facciate quali beni che si presumono comuni salvo che il titolo non disponga diversamente. A prima vista potrebbe sembrare un’indicazione inutile perché la facciata costituisce per definizione parte integrante e necessaria dell’edificio condominiale. In realtà la previsione ha un suo fondamento: il legislatore indirettamente ammette che, laddove il titolo disponga diversamente rispetto all’art. 1117 c.c., la facciata possa costituire anche oggetto di un diritto di proprietà esclusiva.
Il senso di tutto ciò è consentire al proprietario della facciata, il suo sfruttamento economico/commerciale ancorché la stessa sia sottoposta ad un vincolo di destinazione rispetto all’edificio di cui è parte. In altri termini, ferma restando la funzione ineliminabile di protezione del condominio, il proprietario della facciata potrà liberamente goderne facendo propri gli introiti che derivano dalla concessione di essa a fini pubblicitari e dalla possibilità di affiggere cartelloni insegne e targhe pubblicitarie.
Si propongono le seguenti clausole:
“Le parti dichiarano e confermano che l’unità immobiliare in contratto costituisce porzione immobiliare autonoma e libera su tre (?) lati; convengono pertanto le parti che le facciate (ivi compresa la facciata in cui è collocato l’ingresso principale e le due facciate laterali) dell’unità immobiliare in contratto siano di proprietà esclusiva della parte acquirente, la quale espressamente ne assume la manutenzione.”
oppure
“La società venditrice riserva per sé la proprietà delle facciate condominiali (SPECIFICARE SE SONO COMPRESE ANCHE LE FACCIATE LATERALI, solitamente la facciata è quella in cui è collocato l’ingresso principale), con autorizzazione rilasciata sin d’ora ad utilizzarle anche per l’apposizione di cartellonistica, targhe professionali e commerciali e insegne pubblicitarie purchè non venga alterato il decoro architettonico del fabbricato.
Per concorde interpretazione delle parti, la “facciata” in proprietà alla società costruttrice è costituita dall’involucro esterno visibile dell’edificio e dai muri perimetrali, mentre i muri maestri avendo una funzione portante resteranno di proprietà condominiale. La manutenzione ordinaria e straordinaria sarà pertanto così suddivisa … (PREVEDERE).”
La multiproprietà
La medesima norma innova senza stravolgere riconoscendo l’applicabilità della disciplina sul condominio anche quando i proprietari delle unità immobiliari siano titolari di un “diritto a godimento periodico”, ossia nell’ipotesi della c.d. “multiproprietà”.
Il rapporto tra multiproprietà e condominio era già stato delineato in passato dalla giurisprudenza. Scartata infatti la ricostruzione della multiproprietà in termini di proprietà temporanea per contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali, si era già chiarito come tale istituto si caratterizzasse per un intreccio tra (e per l’applicazione di) due regimi giuridici diversi: quello della comunione ex art. 1100 e ss. c.c. e quello del condominio ex art. 1117 c.c.. Ciò in considerazione del fatto che ciascun immobile in multiproprietà è oggetto di comunione tra più proprietari i quali a loro volta, insieme ai comproprietari degli altri immobili, sono contitolari delle parti comuni di pertinenza dei diversi appartamenti. Sul piano pratico quindi poco muta; due continueranno ad essere i regolamenti di cui l’acquirente deve avere conoscenza:
- il regolamento condominiale della multiproprietà disciplinante le parti comuni;
- il regolamento della comunione per le regole applicabili con riferimento al singolo immobile in proprietà turnaria tra i singoli comproprietari.
Nulla il legislatore ha chiarito invece in merito ad altre problematiche connesse, per esempio in relazione al fatto che nel condominio in multiproprietà tutti i comproprietari del singolo appartamento devono essere convocati alle assemblee condominiali, ma solo uno può avere diritto di voto (diritto che non può essere frazionato). Ciò rende necessario – in caso di silenzio del regolamento condominiale sul punto – un accordo su chi vota. In mancanza di accordo, spetterà al presidente dell’assemblea condominiale estrarre a sorte chi avrà diritto di voto.
La comunione forzosa
Gli art. 1118 e 1119 c.c. disciplinano la comunione nel condominio prevedendo rispettivamente:
a) un diritto sulle parti e spazi comuni in capo a ciascun condomino in proporzione al valore del rispettivo immobile, salvo diversa previsione del titolo.
Regola immutata, al pari del principio per cui il condomino non possa rinunciare a tale diritto. Questo ultimo principio conosce però una eccezione: la riforma consente ora di rinunciare all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento quando ciò non ne alteri il funzionamento o non determini per gli altri condomini aggravi di spesa, rimanendo in ogni caso a carico del rinunciante l’onere delle spese per la messa a norma e la manutenzione straordinaria dell’impianto.
Non è previsto al riguardo alcun obbligo di preventiva informazione a carico dell’amministratore o dell’assemblea ma deve considerarsi valida l’eventuale delibera assembleare che vieti il distacco quando non ricorrano le condizioni prescritte dalla legge. Del pari rimane legittimo un eventuale diniego del distacco contenuto nel regolamento di condominio perché l’art. 1118, comma 4 c.c. non rientra tra le norme qualificate inderogabili dall’art. 1138 c.c. e può quindi ammettersi una diversa regolamentazione da parte dei condomini.
Quanto alle spese relative all’impianto da cui ci si distacca il legislatore ha scelto di far gravare sul rinunciante quelle dipendenti dalla messa a norma e dalla manutenzione straordinaria (invece che seguire l’orientamento giurisprudenziale formatosi ante riforma per il quale il condomino che si distaccava dall’impianto avrebbe dovuto partecipare alle spese per la gestione dello stesso solo quando da quella scelta non fosse derivata una diminuzione degli oneri del servizio).
b) Il necessario raggiungimento dell’unanimità dei partecipanti al condominio perché si possa procedere alla divisione delle parti comuni, atto che continua ad essere ammesso solo ove non renda più scomodo l’uso della cosa ai condomini.
Innovazioni
Da sempre è prevista (art. 1120 c.c.) la possibilità che i condomini introducano le migliorie ritenute più opportune. Al fine di incentivare interventi edilizi mirati, destinati a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici o degli impianti, a eliminare la “barriere architettoniche”, a contenere il consumo energetico o a consentire la produzione di energia da fonti rinnovabili e infine a realizzare parcheggi da destinare a servizio degli immobili in condominio sono stati abbassati i quorum necessari per adottare le relative delibere assembleari.
In questi casi sarà sufficiente un numero di voti pari alla maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio sia in prima che in seconda convocazione (nel caso di innovazioni diverse da quelle segnalate occorre la maggioranza dei condomini che rappresentino i 2/3 del valore complessivo dell’edificio).
Il contenuto del regolamento condominiale
E’ necessario verificare quali contenuti possa assumere ai sensi dell’art. 1138 c.c. il regolamento di condominio adottato dall’assemblea (sempre con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio). Rispetto alla previgente formulazione la norma non contiene novità eclatanti: il regolamento continua ad essere necessario quando il numero di condomini sia superiore a dieci e ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la sua formazione o revisione, tuttavia d’ora in poi andrà allegato al registro dei verbali delle assembleeindicato dall’art. 1130, n. 7) c.c..
Si propone la seguente clausola: “La parte acquirente dichiara di conoscere e di accettare il vigente regolamento di condominio, allegato al registro dei verbali dell’assemblea regolarmente tenuto dall’amministratore di condominio a’ sensi di legge.”
Merita invece di essere segnalato il quinto comma secondo cui “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Viene così segnato un limite preciso alla validità delle norme del regolamento che va coordinato con l’immutato art. 72 disp. att. c.c. per il quale “i regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti articoli 63, 66, 67, e 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile”. Residuano però due dubbi:
- se il suddetto limite si riferisca a ogni tipo di regolamento, anche quello contrattuale, oppure solo a quello assembleare come sembrerebbe suggerire la collocazione della disposizione. In ragione della natura derogabile del divieto, la soluzione più plausibile pare quella che ancora consente ad un regolamento contrattuale di impedire la detenzione di animali domestici purché la relativa clausola sia trascritta nei registri immobiliari;
- se il divieto sia applicabile retroattivamente ossia anche nel caso in cui un regolamento assembleare già esistente vieti la detenzione di animali domestici.
Spese ed oneri
L’art. 63 disp. att. c.c. da un lato (comma 4) ribadisce la regola per cui “chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente” dall’altro aggiunge (comma 5) che “chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.
Quanto al primo profilo, è utile sottolineare che per determinare l’effettivo ambito di responsabilità tra il cedente e l’acquirente, il termine ”anno” va interpretato – conformemente a quanto già stabilito dalla dottrina e dalla giurisprudenza – come anno di gestione condominiale e non come anno solare: ciò significa che tra le spese che entrambe le parti sono chiamate a sostenere ricadranno quelle derivanti dall’esercizio in corso al momento della cessione e quelle relative all’esercizio precedente.
Considerando però che la norma trova applicazione nei rapporti tra il condominio e l’acquirente ma non nei rapporti interni tra i comparenti, rimane ammissibile e opportuna, a tutela della parte acquirente, la clausola con la quale il cedente accetta di farsi carico delle spese condominiali sorte fino alla data dell’atto di trasferimento e dichiara l’inesistenza sia di vertenze in corso sia di debiti verso l’amministrazione per spese condominali ordinarie e straordinarie (è del resto il regime di sussidiarietà nella responsabilità tra condomini in regola con i pagamenti e condomini morosi introdotto dall’art. 63, comma 2 c.c. per il pagamento dei creditori non soddisfatti non è idoneo a mettere i primi al riparo dall’eventualità di dover far fronte al debito altrui).
L’ultimo inciso richiede non minore attenzione: sarà opportuno introdurre nell’atto notarile di vendita o di trasferimento tra vivi ad altro titolo dell’immobile in condominio, apposita clausola con la quale la parte cedente dichiari di avere conoscenza del vincolo solidale sussistente con l’avente causa fino alla trasmissione della copia autentica dell’atto all’amministratore: solo dopo l’avvenuta consegna della copia dell’atto avverrà la liberazione del venditore dall’obbligo di pagare le spese condominiali medio tempore maturate.
In ogni caso, i primi commentatori ammettono che anche strumenti diversi dalla copia autentica dell’atto di trasferimento (come ad esempio la certificazione di avvenuta stipula o la posta elettronica certificata) siano idonei a segnare la fine del vincolo di solidarietà tra dante causa e acquirente qualora forniscano all’amministratore le informazioni necessarie all’adempimento dell’obbligo di tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente l’indicazione delle generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di godimento, il codice fiscale, la residenza e il domicilio e i dati catastali di ciascuna unità immobiliare. Si può dunque immaginare che diventerà prassi quella di rilasciare alle parti a fine rogito la suddetta certificazione.
Si propone la seguente clausola: “La parte venditrice dichiara — per gli effetti di cui all’art. 63, comma 4, delle disposizioni di attuazione del codice civile — di non avere pendenze verso l’amministrazione del condominio per contributi ordinari e spese straordinarie e che non esistono liti pendenti relative a questioni condominiali; rimane a carico della parte venditrice ogni spesa condominiale fino alla data odierna.
A’ sensi e per gli effetti dell’art. 63, ultimo comma disp. att. (come modificato dalla legge 11 dicembre 2012 n. 220), la parte venditrice dichiara – e la parte acquirente ne prende atto – di essere a conoscenza del regime di solidarietà con la parte acquirente stessa per i contributi maturati verso l’amministrazione del condominio fino al momento in cui non verrà trasmessa a cura della parte venditrice all’amministratore copia autentica del presente atto.”
Sempre in materia di spese, il legislatore ha introdotto un regime di solidarietà tra il nudo proprietario della singola unità immobiliare e l’usufruttuario (art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c.), di conseguenza entrambi “rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale”. Si tratta di una novità importante posto che prima della riforma il principio era quello per cui l’amministratore avrebbe potuto chiedere le spese ordinarie solo ed esclusivamente all’usufruttuario. E’ opportuno ricordare che la norma è derogabile dalle parti contraenti e il notaio può quindi inserire nell’atto di compravendita la clausola con la quale le parti si accordano nel senso di far gravare solo sull’usufruttuario tali oneri. Tale norma non può essere derogata dal regolamento di condominio a’ sensi e per gli effetti dell’art. 72 disp. att. Cod. Civ..
Si propongono le seguenti clausole:
“In deroga al disposto dell’art. 67, ultimo comma, disp. att. Cod. Civ., i comparenti convengono che a decorrere dalla data odierna il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale saranno a carico del solo usufruttuario.”
oppure
“In ossequio al disposto dell’art. 67, ultimo comma, disp. att. Cod. Civ., il nudo proprietario e l’usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale.”.
Altra norma che si riflette sull’attività notarile è quella che impone all’amministratore di tenere la documentazione tecnica del condominio: ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 6) nel registro di anagrafe condominiale va inserito “ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza”.
La disposizione ha per oggetto il c.d. libretto del fabbricato ed ha una rilevanza non confinata al solo rapporto tra il condominio e l’amministratore ma estesa anche al piano negoziale. E’ importante infatti, in considerazione del ruolo del notaio di tutela delle parti del rapporto, assicurare che il venditore garantisca all’acquirente che l’amministratore abbia questo libretto. Ciò poiché laddove gli interventi necessari non fossero stati ancora posti in essere, l’ignaro acquirente potrebbe trovarsi costretto a partecipare alle spese per la loro realizzazione.
L’amministrazione di condominio
Il tema in oggetto è probabilmente tra quelli di più significativa novità. In prima battuta vanno sottolineati sia una più analitica specificazione delle attribuzioni dell’amministratore di condominio (art. 1130 c.c.) sia l’innalzamento da quattro a otto del numero di condomini il cui superamento ne determina la necessaria presenza (art. 1129 c.c.).
L’interesse maggiore deriva però dal coordinamento della norma con l’art. 71 bis delle disposizioni di attuazione del codice civile che ammette espressamente che la carica di amministratore possa essere ricoperta da una società rientrante tra quelle di cui al titolo V del libro V del codice civile. Ciò equivale alla possibilità e liceità di nuovi oggetti sociali sia per le società di persone sia per le società di capitali e le cooperative.
In quest’ipotesi tutti i soci illimitatamente responsabili, gli amministratori e i dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii dovranno essere in possesso dei requisiti richiesti a pena di automatica decadenza all’amministratore – persona fisica. Non potranno infatti amministrare alcun condominio quanti:
- siano privi del godimento dei diritti civili;
- siano stati condannati per delitti contro la P.A., l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica o il patrimonio, o per un delitto non colposo punito con la reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque anni;
- siano sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive;
- siano interdetti o inabilitati;
- siano indicati nell’elenco dei protesti cambiari;
- siano privi di un diploma di scuola secondaria di secondo grado e non abbiano frequentato un corso di formazione iniziale e periodica in materia di amministrazione condominiale (salvo che si tratti di amministratori scelti tra i condomini o di soggetti che nei tre anni precedenti all’entrata in vigore della novella abbiano esercitato per almeno un anno attività di amministrazione di condominio).
La durata dell’incarico dell’amministratore è ancora annuale, ma la riforma ammette la proroga per un anno.
La nomina dell’amministratore può essere subordinata dall’assemblea alla presentazione di una polizza assicurativa per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato. In tal caso, il contratto (di mandato) per la nomina dell’amministratore sarà improduttivo di effetti fino alla presentazione della polizza. Si ritiene inoltre che debba trattarsi o di polizza individuale o di una polizza di un’associazione di categoria degli amministratori tale da garantire gli iscritti dal rischio di incorrere in un risarcimento danni per l’attività svolta.
Si propone la seguente clausola:
“L’assemblea provvederà a nominare l’amministratore del condominio che durerà in carica per un anno dall’inizio della prima gestione (e si intenderà rinnovato per uguale durata).
La nomina dell’amministratore potrà essere subordinata all’esibizione da parte dello stesso di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato, con adeguamento dei massimali nel corso dell’incarico a’ sensi di legge.”
Accanto alla figura dell’amministratore viene “istituzionalizzato” il consiglio di condominio che prima della riforma poteva considerarsi una mera creazione, per quanto diffusa, del regolamento condominiale. Si tratta di un organismo costituito da almeno tre condomini e pensato per i complessi condominiali più grandi al fine di agevolarne l’amministrazione e consentire una relazione semplificata tra i numerosi condomini e l’amministratore. Non a caso la riforma:
- ne consente la nomina (accanto all’amministratore) all’assemblea ma solo nei condominii con più di undici unità immobiliari (art. 1130 bis c.c.);
- attribuisce ad esso compiti di carattere consultivo e di controllo sull’operato dell’amministratore (per esempio, quando si trova a dover scegliere tra più preventivi).
Non si specifica se i pareri espressi dal consiglio debbano ritenersi o non vincolanti. A proposito potrà ritenersi ancora valido il principio per cui sia l’amministratore sia l’assemblea possono discostarsi liberamente dalle opinioni espresse dai membri del consiglio, salva la previsione nel regolamento contrattuale di pareri vincolanti o di compiti specifici assegnati al consiglio di condominio.
Trasparenza nell’amministrazione
Più rigorosa e improntata a principi di trasparenza e correttezza è la disciplina dei rapporti tra condomini e tra questi e l’amministratore. A tal fine:
1) sono stati introdotti quattro registri (art. 1130, comma 1, nn. 6 e 7) la cui cura compete all’amministratore che dovrà consentirne la consultazione ai condomini e precisamente si tratta del:
- registro dei verbali delle assemblee (in cui oltre alle deliberazioni vanno annotate eventuali mancate costituzioni);
- registro di nomina e revoca dell’amministratore (in cui sono annotate le date della nomina e della revoca anche giudiziale di ogni amministratore);
- registro della contabilità in cui sono annotate tutte le entrate e uscite;
- registro di anagrafe condominiale.
2) L’art. 1130 bis riconosce ai condomini e ai titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari il diritto di visionare i documenti giustificativi di spesa in ogni momento, mentre l’art. 71 ter disp. att. c.c. consente all’assemblea di imporre all’amministratore di attivare un sito internet affinché i condomini possano estrarre copia dei documenti in esso pubblicati.
3) L’art. 70 disp. att. c.c., ha infine innalzato le sanzioni previste in caso di violazione del regolamento di condominio: d’ora in poi potrà essere stabilita una pena pecuniaria fino a euro 200 (che sale a 800 in caso di recidiva). Ad applicarle sarà certamente l’amministratore cui ancora compete il compito di disciplinare l’uso delle cose comuni per garantirne il miglior godimento a ciascun condomino (art. 1130, comma 1, n. 2) c.c.) tuttavia anche quest’ultimo potrà provvedere a diffidare quanti si conducano in modo da “[incidere] negativamente […] sulle destinazioni d’uso delle parti comuni”. In altri termini anche il singolo condomino – ora indipendentemente da una specifica previsione di regolamento – potrà imporre il rispetto delle regole condominiali e in caso di esito negativo ricorrere all’assemblea affinché intimi la cessazione della violazione (art. 1117 quater c.c.).
Il supercondominio
Ponendo fine ad ogni dubbio o incertezza la riforma attribuisce riconoscimento positivo anche al c.d. “supercondominio”, fenomeno che ricorre quando singoli edifici autonomi hanno in comune alcuni impianti o servizi (si pensi ai giardini, alle strade private per l’accesso, alle aree di parcheggio e via dicendo) e che non era stato disciplinato dal legislatore del 1942 semplicemente in ragione del fatto che si tratta di una tipologia edificatoria sviluppatasi attorno agli anni ’60 del secolo scorso grazie alla L. 6 agosto 1967 n. 765 e allo strumento dei piani di lottizzazione.
Nello specifico è all’art. 1117 bis c.c. che occorre guardare nella parte in cui dispone che la disciplina in materia di condominio si applica – in quanto compatibile – “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117”.
Pure sotto questo profilo non si registra una rivoluzione di tipo sostanziale poiché la giurisprudenza[3] era già approdata alla medesima conclusione affermando che “qualora un bene sia destinato al servizio di più edifici costituiti ciascuno in condominio si determina fra i vari partecipanti non una comunione ma una situazione che integra l’ipotesi del supercondominio al quale si applicano estensivamente le norme sul condominio degli edifici giacché – in considerazione della relazione di accessorietà che si instaura per il collegamento materiale o funzionale fra proprietà individuali e beni comuni – questi ultimi non sono suscettibili, come invece nella comunione, di godimento od utilizzazione autonomi rispetto ai primi”.
In ogni caso, tale opzione normativa comporta non indifferenti implicazioni:
1) in caso di supercondominio, se vi sono oltre otto condomini, dovrà procedersi alla nomina dell’amministratore del condominio che andrà ad aggiungersi all’eventuale amministratore di ciascun edificio che ha con gli altri impianti o servizi in comune;
2) l’amministratore dovrà essere nominato dall’assemblea dei partecipanti al supercondominio. Si deve invece escludere, come nel passato, che egli possa essere scelto da un’assise costituita dagli amministratori dei singoli condominii interessati, ciò in quanto la competenza assembleare per la nomina ha natura inderogabile come si evince dal combinato disposto degli art. 1129 e 1138 c.c.. I complessi residenziali più grandi (ossia con più di 60 partecipanti) sono interessati da una opportuna novità: al fine palese di agevolare l’adozione di deliberazioni fondamentali quali la nomina dell’amministratore (del supercondominio) o la gestione ordinaria delle parti comuni ai vari edifici, l’assemblea non potrà essere costituita da tutti i singoli “supercondomini” bensì solo dai rappresentanti dei singoli edifici (art. 67, comma 2 c.c.). In assenza di nomina del rappresentante sarà compito dell’autorità giudiziaria provvedervi su ricorso di ciascun partecipante o di uno dei rappresentanti già nominati. Sembra da escludere, anche in considerazione del disposto dell’art. 67, comma 3, c.c. che il singolo amministratore di un condominio possa rappresentare i relativi partecipanti nella “super assemblea”.
3) quando i partecipanti siano più di dieci, occorrerà adottare un regolamento del supercondominio da allegare al registro verbali assemblee per disciplinare l’uso e il godimento degli enti e degli spazi comuni ai vari condominii e ciò ancorché tali parti comuni possano essere di scarsa importanza o di numero esiguo;
4) ci saranno più tabelle millesimali (una relativa ai millesimi superconominiali e una relativa a ciascun condominio) e più conti correnti (di cui uno intestato al supercondominio).
Soggettività giuridica del condominio
Vexata quaestio è quella relativa alla natura giuridica del condominio. In particolare ci si chiede se la comunione forzosa degli enti comuni in cui esso si sostanzia consenta di individuare un soggetto giuridico distinto rispetto ai singoli condomini dotato dell’attitudine ad essere titolare di diritti. Alla tesi disposta a riconoscere nell’istituto un ente collettivo, quale proprietario delle cose comuni dotato di una “personalità collettiva”, si contrappone in dottrina una teoria atomista contraria che riconduce il condominio a una “comunione sui generis della cosa comune”[4].
La riforma, lungi dal prendere una posizione espressa sulla tematica, ha introdotto diverse modifiche che – secondo alcuni interpreti della materia – potrebbero giustificare la tesi favorevole alla soggettività giuridica, fermo restando che la tematica non pare trovare ancora una soluzione definitiva:
- un primo indice della soggettività giuridica potrebbe essere dato dall’art. 63, comma 2 c.c. nella parte in cui stabilisce che “i creditori (N.d.A. per le spese condominiali) non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”. La norma in realtà non è di per sé sufficiente per far parlare di soggettività poiché pur introducendo una sorta di beneficio di escussione non dà origine ad alcuna forma di autonomia patrimoniale nemmeno imperfetta;
- più significativo deve considerarsi il nuovo art. 1129 c.c. nella parte in cui riconosce la necessaria presenza di un conto corrente (postale o bancario) intestato al condominio sul quale l’amministratore ha l’obbligo di far transitare le somme a qualunque titolo ricevute dai condomini o dai terzi o erogate dal condominio (comma 7). Il riferimento a un conto corrente evoca l’idea di un patrimonio di cui il condominio è titolare e farebbe pensare che esso costituisca quel centro di interessi giuridici alla base della soggettività giuridica;
- il terzo e più importante indizio a favore della soggettività giuridica del condominio sarebbe costituito dal nuovo dettato dell’art. 2659, comma 1, n. 1) c.c. come integrato dalla novella per il quale la nota di trascrizione di atti tra vivi, relativi a condominii, “deve indicare l’eventuale denominazione, ubicazione e codice fiscale (del condominio)”. Poiché gli atti relativi ai cosiddetti beni comuni censibili si trascriveranno non più a favore o contro i singoli condomini pro quota ma direttamente a favore o contro il condominio d’ora in poi dovrebbe consentirsi all’assemblea di dare mandato all’amministratore perché intervenga negli atti relativi a tali beni in rappresentanza del condominio stesso.
Allo stesso modo sarà consentita a favore del condominio l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale per il recupero dei crediti derivanti da contributi condominiali non versati dal singolo condomino o la trascrizione del pignoramento immobiliare eseguito per il recupero dei medesimi crediti.
I tentativi di ritagliare uno spazio di soggettività per il condominio si scontrano però con il disposto dell’art. 1117 c.c. laddove si afferma che gli enti comuni “sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari”. L’interpretazione di tale norma sembra escludere a priori il riconoscimento della capacità giuridica del condominio il quale non ha un suo patrimonio ma appartiene esclusivamente ai condomini.
[1] Alla base vi è l’indiscutibile ”appetibilità” del sottotetto, soprattutto quando di considerevole metratura o di agevole fruizione, accentuata poi dalla possibilità di un incremento del suo valore economico nei casi in cui gli ordinamenti regionali ne consentano un recupero a fini abitativi.
[2] Si consideri sul punto, Cass. Civ. n. 10371/97 che con riferimento al caso di un’autorimessa afferma che al fine di accertare la esistenza, o meno, dell’obbligo del singolo condomino di sostenere in misura proporzionale le spese di manutenzione del detto locale occorre la prova positiva dell’appartenenza di esso in proprietà comune, determinante essendo, al fine anzidetto, l’esame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dell’immobile. E con riferimento al caso specifico del sottotetto, Cass. Civ. n. 18091/02 “In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è in primo luogo determinata dai titoli e solo in difetto di questi ultimi può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune”.
[3] Di segno decisamente opposto la dottrina, compatta nel ricondurre il fenomeno del condominio orizzontale o supercondominio nell’ambito di applicazione delle norme sulla comunione ordinaria. Per un quadro complessivo del dibattito e per una critica alle posizioni assunte dalla Cassazione si consulti P. Rolleri, Il supercondominio: una galassia non ancora esplorata dal legislatore italiano, in Riv. giur. edil., 2001, disponibile in C.N.N., pag. 4 e ss. e ID, ivi, pag. 11 “L’esistenza di norme cogenti – e quindi non derogabili mediante convenzione (…), di un sistema di calcolo delle maggioranze “rigoroso” (…) lasciano poco spazio per un’adeguata e “fruttuosa” applicazione in tema di supercondominio”.
[4] Si considerino le parole della Cass. Civ. N.1286/97 “ L’Amministratore di condominio – nel quale non e’ ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bensì la gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o comprensione dell’autonomia individuale – configura un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che e’ assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalita’ di costituzione ed al contenuto “sociale” della gestione, al mandato con rappresentanza”.
Tratto da Federnotizie, Luglio 2013. Autore: Alessandra Mascellaro.